Ai compagni di Teramo, a Davide Rosci, a tutte le forme-di-vita resistenti, a tutti gli infami

SCONTRI ROMA: ASSALTO A BLINDATO; UN FERMO A CHIETINoi ci ricordiamo tutto, ci ricordiamo tutte le vicende, tutti i meriti, tutte le colpe, tutti gli eroi, tutti gli infami. Soprattutto ci ricordiamo tutti e tutte nei propri ruoli. Ci ricordiamo di chi avrebbe voluto attraversare quella giornata in una sfilata con quel largo, variegato e colorato movimento “indignato” che avrebbe dovuto consegnare, ancora una volta, le chiavi della risoluzione politica a dirigenti politici e sindacali, a leader di partiti e di giornali-partito che a fine manifestazione avrebbero dovuto svettare da sopra un palco. Ma ci ricordiamo anche di chi del comizio piuttosto che di una rappresentazione del conflitto non glien’è fottuto nulla ed ha risposto mettendo in campo la propria rabbia rompendo gli argini della “lotta-dettata-narrata” attraverso processi di scontro, riappropriazioni delle strade e delle piazze, resistenza alla violenza della polizia, sfilandosi da qualsiasi dinamica di delega, controllo, sottomissione e mettendo i proprio corpi per primi davanti a tutto e tutti. E in ultimi, sempre e soltanto ultimi, gli INFAMI “pacifinti”, vendoliani, linkini, cobas, partiti e sindacati tutti che il giorno della manifestazione sfilavano col “Che” stampato sulla maglietta ed il 16 Ottobre mandavano fotografie di compagni alle questure schierandosi al fianco dei servi del potere, con chi manganella, arresta e condanna.

C’erano e c’eravamo tutti/e quel giorno: chi avrebbe voluto rappresentare la rappresentazione di un movimento “indignato”, chi, come da sempre, non voleva, non vuole e non vorrà mai farsi rappresentare, delegare, sostituire da un qualsiasi dispositivo, scegliendo di dedicare la propria vita alla militanza, al cambiamento, alla lotta. Ed è esattamente questo il crimine che viene fatto pagare oggi ai compagni di Teramo, analoga sorte ed analoga legge di matrice biennio fascista usata contro i condannati per i fatti del G8 di Genova: devastazione e saccheggio, art. 285 del codice penale introdotto con il “codice Rocco”, nel 1930 ministro della giustizia.

La nostra solidarietà va immediatamente ai sei compagni di Teramo condannati a sei anni di reclusione ciascuno, sopratutto un forte abbraccio di solidarietà a Davide Rosci che ha annunciato uno sciopero della fame. Ma la nostra rabbia, il nostro sgomento, non è soltanto per un processo di rivolta che viene duramente condannato, ma perché questa condanna avviene in un tribunale in cui è stata applicata una delle più pesanti condanne si possa infliggere senza nemmeno dimostrare alcun fatto, perché i fatti stanno esattamente così: Davide Rosci, annunciando il suo sciopero contro il reato di devastazione e saccheggio, denuncia anche un processo in cui la condanna è stata scritta in base a prove che dimostrano solo e soltanto la sua presenza, mentre rideva, davanti quel maledetto blindato in fiamme al centro di piazza San Giovanni. Non c’è alcun flagrante, non c’è alcuna prova o filmato che dimostri il lancio di un solo sasso o atto “criminoso”. Solo ipocrite supposizioni. E la supposizione vale 6 anni di vita umana.

Davanti tutto ciò vien resa evidente la volontà criminosa dettata dallo stato e da tutti gli apparati polizieschi, vigili e dal pugno di ferro, pronti a condannare pesantemente qualsiasi processo di rivolta che in un periodo di crisi economica potrebbe costare loro caro. Così gli scontri del 14 Novembre scorso, non hanno perso tempo ad ordinare perquisizioni ed arresti. Non c’è sasso che non vien fatto scontare a chi preferisce tirare quest’ultimi anziché la cinta in un paese allo sbando, in cui welfare ed ammortizzatori sociali sono stati smantellati, il lavoro è precarizzato al massimo costituendolo nuova forma di vessazione e prostituzione, si preferisce comprare aerei e sottomarini da guerra, fare inutili TAV e progetti di speculazione edilizia anziché investire quegli stessi soldi in istruzione, sanità, nuovo welfare, ecc… Perché ormai ci troviamo in un’Italia che va all’esatto ritmo di quella camionetta in piazza San Giovanni, dritta sparata per la sua strada in mezzo milioni di persone in direzione ostinata e contraria cercando di investire chi si para davanti, chi si impunta e fa resistenza, chi non vuol morirci sotto come è successo a Carlo, e gira a tondo e fa caroselli, perché non sa chi colpire: i colpi le giungono da tutte le parti, è sola, non c’è via d’uscita in mezzo questo mare umano colmo di rabbia. E la rabbia è destinata a crescere per tutti i compagni e le compagne che tirate sotto questa camionetta impazzita, ma in mezzo la moltitudine che si ribella, si organizza ed impara come-si-fa può giungere il tempo in cui sarete fermati con la forza, non potrete più procedere avanti perché le barricate saranno elevatissime e dovrete abbandonare il vostro mezzo, ormai dato alle fiamme…

“Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi”

Che Guevara, quello che c’avete stampato sulla maglietta

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